"Troppi rinvii in gioco le relazioni tra Ue e New Delhi" - Main contents
Il continuo rinvio da parte indiana di una soluzione alla questione dei due marò italiani «può incidere sulle relazioni» tra l' Unione Europea e l' India.
"La Repubblica" del 27-12-2014
Il continuo rinvio da parte indiana di una soluzione alla questione dei due marò italiani «può incidere sulle relazioni» tra l' Unione Europea e l' India.
Lo spiega Federica Mogherini, Alto rappresentante per la politica estera della Ue.
«Vorrei esprimere un pensiero di vicinanza a Massimiliano e Salvatore e alle loro famiglie in questi giorni di festa e difficili. Mi auguro che questa vicenda si possa risolvere presto e per il bene di tutti. Come ho sempre detto in Parlamento, ho usato i mesi da ministro degli Esteri per completare le procedure preliminari all' arbitrato, che hanno richiesto più tempo e lavoro del previsto. Oggi, nella mia nuova posizione, continuo a seguire da vicino questa vicenda che mi sta molto a cuore, in contatto con il governo italiano.
L' Ue ha ripetutamente invitato, in questi tre anni, a una soluzione accettabile per entrambe le parti. Le aspettative finora sono andate deluse, ma aspettiamo di vedere se vi sono margini perché questa situazione non solo è dolorosissima per i due marò, le loro famiglie e l' Italia, ma può anche incidere sulle relazioni Ue-India e sulla lotta globale contro la pirateria in cui l' Ue è fortemente impegnata ».
Ma non c' è solo la crisi con l' India. Dall' Ucraina al Califfato islamico, l' Europa si deve confrontare con una serie di crisi che minacciano la sua sicurezza e il suo benessere. Russia, Iraq, Siria, Libia e Medio Oriente. Qual è secondo lei il dossier più vitale per l' Europa, la sfida che definirà il nostro futuro? «Direi quella interna: la sfida dell' Europa con se stessa. Creare una vera politica estera europea. Dobbiamo partire da noi. Dimostrare che siamo in grado di avere una visione comune. Gli strumenti ci sono. E direi anche che c' è la consapevolezza, almeno tra i cittadini europei, che dobbiamo essere in grado di suonare tutti un solo spartito. Magari con strumenti diversi, ma con un risultato unitario. Tra cinque anni, quando scadrà il mandato di questa Commissione, non ci saranno secondi appelli».
Non sta drammatizzando? «Guardiamoci intorno. Tutti i più gravi teatri di crisi del Pianeta sono ai confini dell' Europa: Ucraina, Siria, Medio Oriente, Libia, Africa. Io non credo alla casualità della geografia. Se tutti i focolai di incendio sono alle porte di casa nostra, ci sarà pure una ragione che ci interpella. E se nei prossimi cinque anni non saremo in grado di dare risposte adeguate, queste crisi non potranno che peggiorare. Abbiamo responsabilità di cui ci dobbiamo fare carico. E anche interessi di cui dobbiamo prendere coscienza ». Già, ma di questa coscienza comune non si vede traccia. Anzi. Su quasi tutti i dossier che lei ha citato l' Europa appare divisa. Da dove pensa di cominciare? «Finora abbiamo avuto la tendenza a sottolineare le contrapposizioni tra la Ue e i singoli stati membri, o tra le varie capitali.
Occorre invece invertire la domanda che ci poniamo. Non chiediamoci che cosa ci divide, ma che cosa ci unisce. Su tutte le questioni occorre far emergere i punti di interesse comune che, le assicuro, sono tanti».
E allora perché la politica estera europea resta ancora un fantasma?
«Ma perché è appena nata. I trattati che la prevedono sono entrati in vigore da poco. Il servizio di azione esterna della Ue, che ho il compito di guidare, è imponente come dimensioni ma è solo un bambino: ha appena quattro anni. Io non la vedo in modo così negativo. Se comunque vogliamo cercare la causa di certe carenze, io trovo che sia di natura politica: non abbiamo saputo concentrarci a sufficienza sulla definizione dell' interesse comune. E non parlo solo di interessi economici, ma di un "interesse nazionale" europeo, anche se può sembrare una contraddizione in termini. È un esercizio che abbiamo trascurato, lasciando che gli interessi particolari di questo o quel Paese riemergessero a scapito degli interessi comuni».
Però ci sono anche sensibilità diverse. Quando parliamo di Israele o della Russia, in molte capitali scattano reazioni quasi automatiche, di pancia più che di testa. Come farà a prevenirle e superarle?
«È vero. Le diverse sensibilità derivano dalla diversità delle nostre storie. Il punto, secondo me, è non negare queste diversità. Ma anzi accettarle ed utilizzarle.
E poi le divergenze che nascono dalla nostra storia non riguardano solo i governi, ma coinvolgono anche, all' interno di ciascun Paese, la diverse forze politiche. Possono essere una grande ricchezza. E si possono superare. Recentemente il Parlamento europeo ha votato a larghissima maggioranza una risoluzione sul riconoscimento dello Stato palestinese che solo un mese prima sembrava impossibile, tanto le posizioni dei gruppi politici erano distanti. Se smettiamo di concentrarci sul passato, sulla nostra storia pesante, e guardiamo di più al futuro, agli strumenti da usare per cambiare le cose, possiamo arrivare a trovare una politica comune »
Guardando fuori dai nostri confini, quale crisi la preoccupa di più?
«Ne vedo tre: l' Ucraina, che implica anche i nostri rapporti con la Russia, il Medio Oriente e la Libia, che per ora resta troppo al di sotto dei radar ma che, se non trova una soluzione rapida, rischia di diventare la più esplosiva». Ai rapporti con la Russia sarà dedicato il prossimo consiglio dei ministri degli Esteri.
«Quando sono arrivata ho impostato un nuovo modo di lavorare. Ogni mese teniamo una discussione strategica su un tema specifico. Lo abbiamo già fatto sulla Siria e sull' Ucraina. Ora dobbiamo discutere dei nostri rapporti con la Russia. Dobbiamo parlare in modo franco, mettendo sul tavolo le domande che tutti si stanno ponendo in Europa»
«Il problema di fondo è capire come se ne esce. Anche a Kiev la domanda che tutti si fanno è: come fare a porre fine al conflitto? La situazione attuale è di grande difficoltà per la Russia: sarebbe suo interesse contribuire realmente a porre fine al conflitto. E allo stesso tempo tutti sappiamo che la Russia ha un ruolo importante non solo in Ucraina, ma anche in Siria, in Iran, in Medio Oriente, in Libia. Da una parte dunque dobbiamo rafforzare il nostro sostegno all' Ucraina, dove anche la situazione economica interna può diventare rapidamente molto grave. Dall' altra dobbiamo aprire un confronto diretto con Mosca sulle nostre relazioni reciproche e sul ruolo che la Russia può avere in altri scenari di crisi».
Ma qui l' Europa rischia di scontrarsi con l' intransigenza americana...
«Questa è una percezione sbagliata. Non è vero che ci sia una linea morbida degli europei contrapposta ad una linea dura degli americani. Anzi. Gli ultimi dati sul commercio dimostrano che l' interscambio tra Russia ed Europa sta calando mentre quello tra Russia e Usa sta aumentando. Parlo spesso con Kerry e c' è una totale identità di vedute sulla crisi ucraina. Una identità di vedute che si estende anche ad altri Paesi, dal Canada al Giappone. E tutti vogliono uscire dalla logica della contrapposizione frontale, del muro contro muro».
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